Il colera è un'infezione diarroica acuta causata dal batterio Vibrio cholerae. Si trasmette per via oro-fecale, per esempio attraverso l'assunzione di cibi e bevande contaminati, e causa disturbi intestinali e, nei casi più gravi, una pericolosa disidratazione. Tra Ottocento e Novecento, questa patologia ha colpito più volte l'Italia, con numerose epidemie che hanno flagellato soprattutto alcune città, in particolare Napoli, dove il colera si è diffuso in più occasioni mietendo moltissime vittime.
Precarie condizioni igienico-sanitarie, inadeguatezza della rete idrica e fognaria, incapacità dei Governi di riconoscere l'emergenza e di rispondere con le misure più opportune, scarsa attenzione ai rischi di contaminazione degli alimenti: sono queste le principali cause che, a cavallo tra i due secoli, hanno portato il colera a dilagare nel nostro Paese.
La diffusione del colera ha attraversato diverse tappe: dalla grande epidemia che ha colpito Napoli a fine Ottocento, fino all'ultimo focolaio, registrato a Bari negli anni Novanta del Novecento.
Il colera può essere considerato la prima grande malattia globale. Nel XIX secolo, infatti, questa infezione si è diffusa più volte nel resto del mondo dalla sua area originaria intorno al delta del Gange, in India, uccidendo milioni di persone. Come riporta l'Istituto Superiore di Sanità, sono 6 le pandemie di colera che in quel periodo hanno colpito anche l'Italia: si sono verificate nel 1835-1837, 1849, 1854-1855, 1865-1867, 1884-1886 e 1893.
La circolazione di questa malattia, sia in Europa che nel mondo, è stata favorita dalle attività militari e commerciali dell'Inghilterra nel continente indiano e dall'avvento delle macchine a vapore che resero i viaggi più numerosi, come ricorda Eugenia Tognotti nel libro “Il mostro asiatico. Storia del colera in Italia”.
Nell'Ottocento, l'esplosione del colera in Italia fu molto violenta soprattutto a causa delle cattive condizioni igienico-sanitarie che caratterizzavano tutto il territorio. Come riporta ancora Tognotti, un'inchiesta parlamentare rivelò che tra il 1885 e il 1886 la maggior parte dei comuni del Regno era priva di rete fognaria, meno della metà erano dotati di latrine e, in alcuni, gli escrementi venivano depositati negli spazi pubblici. Molti comuni, inoltre, non disponevano di acqua potabile. Era drammatica anche la situazione dello smaltimento dei rifiuti, che nei paesi e nelle periferie, dove non era attivo un servizio di nettezza urbana, si accumulavano per strada.
In questo contesto, caratterizzato da un'igiene pubblica e privata estremamente scarsa, il colera trovò terreno fertile per dilagare, favorito anche dall'arretratezza delle conoscenze mediche e da una generale sfiducia della popolazione nella medicina ufficiale. Per arginare l'epidemia furono adottate una serie di misure, come i cordoni sanitari marittimi e i giorni di quarantena per le imbarcazioni provenienti da zone infette istituiti nei territori impegnati in traffici commerciali con altre nazioni, come il Regno delle Due Sicilie e il Regno di Sardegna. Questi provvedimenti non riuscirono, tuttavia, ad arrestare la diffusione del colera, che in alcune città, come Napoli, fu molto feroce.
Tra il 1884 e il 1886, Napoli fu interessata da un'epidemia di colera particolarmente devastante che causò circa 6000 decessi, pari a due terzi delle morti totali in Italia, e portò migliaia di persone a fuggire dalla città. Questa ondata epidemica è ricordata non solo per le sue pesantissime conseguenze sulla salute e sulla mortalità, ma anche per l'impatto che l'opera di risanamento condotta per arginarla ebbe sull'assetto della città.
Il Governo Depretis avviò, infatti, una vasta operazione di riqualificazione delle zone più degradate di Napoli che portò a radere al suolo interi quartieri. L'intervento si concentrò sull'abbattimento degli edifici, compresi quelli storici, invece di puntare sul loro risanamento, sulla costruzione di reti fognarie e sulla realizzazione di un sistema pubblico per la raccolta dei rifiuti e, per questo, fu pesantemente criticato. Molti accusarono questo piano di bonifica di favorire solo un'enorme speculazione, aprendo la strada all'edificazione di nuovi quartieri residenziali nei vecchi rioni popolari espropriati ai poveri, senza, tuttavia, destinarli alle classi meno abbienti, che continuarono a vivere in zone fatiscenti e in condizioni igieniche molto precarie.
Nel corso del XIX secolo l'Italia fu colpita da nuove epidemie di colera. La prima si verificò tra il 1910 e il 1911 e rappresentò una grave minaccia sanitaria, pur non causando un'elevata mortalità. Nel 1910 restò circoscritta alle regioni meridionali, soprattutto a Puglia e Campania, dove provocò circa 800 decessi. L'anno successivo ebbe, invece, conseguenze più drammatiche, mietendo più di 6000 vittime, tre quarti delle quali in Sicilia e in Campania. A causa dell'elevato numero di persone che raggiungevano gli imbarchi per emigrare all'estero, infatti, la diffusione del colera fu particolarmente violenta soprattutto nelle città portuali come Palermo e Napoli.
Un'epidemia a lungo nascosta, sia dalle autorità sanitarie napoletane che dal Governo Giolitti allora in carica, come denunciato del medico Henry Downes Geddings, ufficiale americano all'epoca in servizio a Napoli, nelle lettere inviate ai suoi superiori a New York. Come racconta lo storico John Snowden, che ha analizzato quei documenti nel suo “Naples in the Time of Cholera, 1884-1911”, il timore che la notizia dei contagi, se fosse trapelata, avrebbe compromesso i rapporti commerciali dell'Italia con gli altri paesi portò prima a negare l'esistenza del colera a Napoli, poi a dichiarare finita l'epidemia nel 1910, quando la malattia stava, in realtà, ancora dilagando.
Nel 1973 il colera fece di nuovo la sua comparsa a Napoli. Questa volta la portata dell'emergenza fu più contenuta, ma il ricordo delle precedenti epidemie scatenò un clima di paura misto a stupore e incredulità: era diffusa, infatti, la convinzione che in un paese industrializzato come l'Italia questa malattia potesse considerarsi definitivamente sconfitta. Come ricorda l'Atlante Treccani, subito dopo Ferragosto si verificarono due casi di gastroenterite acuta che non destarono particolare preoccupazione. Tuttavia, nei giorni successivi, alcuni decessi fecero crescere i timori e, il 29 agosto, Il Mattino annunciò l’esistenza di un’epidemia che aveva già provocato 5 morti e il ricovero in ospedale di cinquanta contagiati. Per arginarne la diffusione, le autorità vietarono il consumo di pesce e molluschi crudi, a cui era stata attribuita la responsabilità di questa nuova ondata di colera.
Fortunatamente, grazie a una straordinaria campagna di vaccinazione, l'epidemia venne arginata nell'arco di poche settimane. I dati ufficiali parlano di 277 contagiati e 24 morti, per la maggior parte concentrati a Napoli, anche se casi di colera si verificarono anche in altre zone d'Italia: in Sardegna, a Roma, a Milano, a Firenze, a Bologna e a Pescara.
L'ultimo focolaio di colera in Italia, per fortuna di proporzioni ridotte, risale al 1994, quando a Bari furono registrati una decina di contagi provocati dal consumo di pesce crudo.
Oggi questa malattia resta endemica in Africa, in Asia e in America, mentre in Italia e in Europa si riscontrano ogni anno pochissimi casi, che riguardano esclusivamente cittadini di ritorno da Paesi in cui il colera è ancora presente.
Istituto Superiore di Sanità (ISS): Epicentro – L'epidemiologia per la Sanità Pubblica
ISS Salute – Informarsi, conoscere, scegliere
Eugenia Tognotti, Il mostro asiatico. Storia del colera in Italia, Editori Laterza, 2000
Frank M. Snowden, Naples in the Time of Cholera, 1884-1911, Cambridge University Press, 1995
Atlante Treccani: La lezione dell'epidemia di colera del 1973
Università degli Studi di Napoli Federico II - Dipartimento di Sanità Pubblica